Due fettine di carne con patate, accompagnate da un piatto d’insalata. Erano le 16.30 quando Alexey Vatutin si concedeva un ibrido tra pranzo e cena dopo aver battuto Daniel Masur col punteggio di 6-2 7-5, approdando ai quarti del Trofeo Perrel-FAIP di Rovereto (120.950€, Mapei). In piena solitudine. Forse gli pesa, perché ha invitato il cronista a sedersi al tavolo con lui, affermando che non c’era bisogno di aspettare che finisse di mangiare. “Ad essere onesto sono quasi sempre da solo quando giro per i tornei – racconta – quando ero top-200 ATP ho fatto qualche settimana con il coach, ma nella maggior parte dei casi viaggio in solitudine. È più facile permettersi qualcuno quando sei giovane o hai alle spalle una federazione che, tra contratti e budget importanti, mette a disposizione allenatori, preparatori e fisioterapisti. Se non hai un sostegno di quel tipo è difficile avere un coach tutte le settimane, perché il giocatore deve sostenere tutte le spese, dai voli a tutto il resto. È molto costoso, soprattutto oggi. Mi piace stare da solo, spesso mi rende la vita più facile, a volte è noioso ma ormai ci sono abituato. Per me, comunque, è ok”. Ed è ok anche il momento che sta vivendo: si è presentato in trentino da numero 340 ATP e da qualche mese sta raccogliendo diverse vittorie. L’ultima, come detto, è arrivata contro Masur al PalaBaldresca. “Ci avevo giocato due volte e avevo sempre perso, inoltre lui è piuttosto forte sul cemento indoor. Nel primo ho giocato molto bene, nel secondo ho avuto varie chance di brekkarlo e quando ce l’ho fatta (5-4 e servizio, ndr) mi sono fatto riprendere. Poi l’ho brekkato di nuovo e nell’ultimo game mi sono innervosito. Dal 40-0 mi sono ritrovato 40-40, per fortuna ho trovato un modo per spuntarla”.

NIENTE RUSSIA DA TRE ANNI

Nei quarti se la vedrà con August Holmgren, che durante il suo match effettuava un’intensa seduta di allenamento con Martin Landaluce. Ma la storia di Vatutin, soprattutto quella recente, merita di essere raccontata. Quando gli chiediamo qual è l’aspetto più difficile di essere cittadino russo in questo periodo, risponde senza esitazione. “Non torno a casa da due anni e mezzo. Anzi, ormai sono tre. L’ultima volta che sono stato a trovare i miei genitori a Volgograd risale al dicembre 2021. Avrei la possibilità di farlo, ma è molto complicato: costa molto ed è difficile organizzare il viaggio. Da quando è iniziato il tutto ho visto i miei genitori soltanto due volte, l’ultima due anni fa a Istanbul. Abbiamo trovato una soluzione intermedia e abbiamo trascorso una settimana in compagnia. Da allora non li vedo più. Prima stavo in Germania, adesso faccio base in Francia, a Cannes. Ma sono abituato anche a stare lontano da casa: anche prima ci tornavo 1-2 volte all’anno, per un paio di settimane”. Toccare certi argomenti può essere delicato, ma Vatutin non si scompone neanche quando si tocca lo spinoso tema delle mancate strette di mano tra le tenniste ucraine e quelle russe e bielorusse. “Capita di parlarne con altri giocatori – racconta – posso capirle, perché se stringono la mano a russe o bielorusse la stampa ucraina si scatena e porta la gente a odiarle. Il fenomeno è più diffuso tra le donne perché sono più combattive tra loro, per natura. Tra uomini siamo più rilassati, parliamo tranquillamente e comprendiamo la situazione. Posso dire che per noi russi non c’è problema”. Vatutin è un tipo riflessivo – non potrebbe essere altrimenti, trascorrendo molto tempo in solitudine – e anche sul campo trasmette questa sensazione. Non essendo un gigante (è alto 178 centimetri), il suo gioco si fonda su due gambe molto rapide e una certa intelligenza tattica. “Il mio idolo è sempre stato Nikolay Davydenko. Ho anche lavorato con suo fratello Edouard. Quando avevo 18 anni mi sono spostato in Germania e mi sono allenato con lui per 3-4 anni, fino al suo ritiro. Avevo anche una grande ammirazione per David Nalbandian, credo che lui e Kolya avessero i migliori rovesci a due mani del circuito. Nel 2006 li ho visti giocare uno contro l’altro nella finale di Coppa Davis tra Russia e Argentina, a Mosca”.

VOGLIA DI LAVORARE

Numero 136 ATP nel luglio 2018, Vatutin ha ritrovato una dinamica positiva dopo un periodo difficile. “L’anno scorso ho avuto la pubalgia e mi sono strappato i legamenti, dunque ho saltato quattro mesi – racconta – al rientro ho avuto qualche problema quando giocavo partite lunghe, perché il giorno dopo faticavo a muovermi al 100%. Anche quest’estate ho avuto un piccolo infortunio che mi ha bloccato 2-3 settimane, ma poi dal Challenger di Szczecin ho iniziato a giocare bene, raggiungendo la finale e poi qualificandomi al torneo ATP di Anversa. Ho battuto gente forte, sto finalmente bene e mi piace giocare sul cemento indoor”. E allora va avanti, nonostante abbia 32 anni e già 878 partite professionistiche sulle gambe (“Non lo sapevo, grazie per l’informazione”). Quando gli chiediamo dove trova la forza per andare avanti tra le difficoltà appena descritte, non ha dubbi. “Mi piace allenarmi, mi piace giocare a tennis, amo la competizione e adoro la sensazione di vedere i frutti del duro lavoro – racconta – so di avere il potenziale per giocare di nuovo le qualificazioni degli Slam e di poter battere tanti top-200 (ne ha battuti più di 40, a cui si aggiungono otto top-100, ndr): è la ragione per cui mi alleno ancora duramente. Se non avessi questa sensazione non avrebbe senso andare avanti, ma visto che ce l’ho… perché no?”. E allora viene spontaneo domandarsi dove può portarlo, questa sensazione. “Vedremo. Di sicuro vorrei tornare a giocare gli Slam, magari raggiungere il traguardo dei top-100 ATP. Il problema è che giocando questi tornei è dura: con i quarti a Rovereto ho raccolto 14 punti, molti meno di quanti ne potrei conquistare vincendo un ITF da 25.000 dollari, laddove è molto più semplice arrivare in fondo”. Vatutin dice il vero: il vincitore ne prende 25, il finalista 16. Sono i risultati della riforma che ha incrementato il divario dei punti tra i tornei ATP e i Challenger per valorizzare la qualità delle vittorie. La ratio è comprensibile, ma in questo modo è diventato complicatissimo entrare tra i top-100 giocando soprattutto i Challenger. “Ma io non ho un numero in testa. Sono concentrato sul mio gioco. Vedremo dove mi porterà” conclude Vatutin, prima di dedicarsi finalmente al suo pasto. I piatti saranno ormai diventati freddi, ma lui sorride e accetta le scuse.

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